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2 Agosto 2016 Il team di ProntoPannolino Consigli

Prendere in braccio i bambini piccoli, giusto o sbagliato? Facciamo il punto su miti, credenze e… buone abitudini!

Insieme all’allattamento al seno e al sonno condiviso, portare i bambini in braccio è uno dei temi che continuano far chiacchierare la società occidentale: è risaputo che i piccoli amano essere presi in braccio ma sembra che assecondare questo loro bisogno sia sbagliato. Da dove arriva questa credenza?

Per trattare questo argomento abbiamo preso spunto dalle informazioni contenute in questo articolo (che si basa su uno studio pubblicato sulla rivista “Current Biology” nell’aprile 2013) ma soprattutto da “E se poi prende il vizio?”, un libro di Alessandra Bortolotti (psicologa perinatale) pubblicato da Il Leone Verde in cui troverete tutti i riferimenti bibliografici su cui si basano le informazioni e i dati contenuti in questo articolo.

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E se poi prende il vizio?” è un invito per tutte le mamme ed i papà a crescere i propri figli dimenticandosi dei pregiudizi dettati dalla cultura e dal modello di vita occidentale, analizzando i bisogni fisiologici dei bambini e la possibilità di soddisfarli attraverso la vicinanza e l’affetto.

Ma torniamo alla domanda iniziale: perché è ancora così viva la convinzione che assecondare il bisogno dei bambini che piangono per essere presi in braccio sia alla lunga dannoso per il bambino che rischia di crescere “viziato” e troppo dipendente dalla madre?

Purtroppo questo modo di pensare è figlio della maniera di crescere i piccoli che era diffusa circa quaranta anni fa: in quel periodo il distacco dalla madre era massimo, i piccoli appena nati venivano subito messi al nido e dati alla mamma solo qualche volta al giorno, il tempo necessario per prendere il seno.

In questo modo i bambini erano forzati da subito a fare a meno del bisogno di contatto, ma ciò non significa che non ne sentissero la necessità: se ignoriamo il pianto di un bambino, questi smetterà di piangere non perché la causa del suo malessere non c’è più, ma solo perché sa che – per quanto si sforzi – nessuno gli presterà attenzione.

La nostra società è una società “a basso contatto”, dove i piccoli sono tenuti in sdraiette, lettini, culle e passeggini, e dove il sonno difficilmente è condiviso; i bambini delle società ad alto contatto (che vengono portati in braccio o nella fascia, che vengono allattati a lungo e che dormono accanto ai genitori) tuttavia presentano minore aggressività, piangono meno ed hanno anche meno coliche.

Questo perché i piccoli da quando nascono hanno un estremo bisogno di contatto fisico e di contenimento ed il contatto è da sempre stato fondamentale per la sopravvivenza della nostra specie!

Grazie al contatto con la mamma i piccoli possono regolare il proprio battito cardiaco, la respirazione e anche la loro temperatura corporea: per questo i bimbi alla nascita per sopravvivere dipendono interamente dalla madre, ma non solo per il nutrimento, anche perché hanno assoluto bisogno di contatto e amore.

Pensiamo che le madri primitive trasportavano ed allattavano i piccoli fino circa ai 3 anni d’età, un momento importante nella vita di un bambino perché segna il passaggio verso una tappa più indipendente, quando il bisogno di contatto con la madre non è più primario (ma rimane comunque importante).

Fino ai tre anni circa è quindi perfettamente normale che il piccolo manifesti una costante necessità di contatto fisico, e che – soprattutto nei primi mesi – lo manifesti con il pianto: quante volte abbiamo avuto in braccio il nostro bimbo, pacificamente addormentato, e appena lo abbiamo messo nel lettino o nella culla si è svegliato gridando?

Anche far addormentare i piccoli in braccio è completamente normale: in questo modo si rilassano, il loro respiro si fa più regolare e si si crea l’ambiente ideale per fargli così prendere sonno.

Attenzione però alla postura: tenere in braccio un bambino che dorme (e che quindi è inerte) può causarci mal di schiena o dolori muscolari se non prendiamo i dovuti accorgimenti; sarebbe meglio stare seduti, con la schiena dritta e le braccia sostenute da un cuscino.

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Ma quando si parla di sonno e di tenere in braccio, c’è un altro aspetto a cui dobbiamo fare attenzione: come sappiamo, i piccoli avvertono quando chi li tiene in braccio è nervoso, ansioso, stressato, etc.

Se, quindi, siamo particolarmente stanchi e non dell’umore adatto per riuscire a far rilassare il piccolo tenendolo tra le nostre braccia, se è possibile possiamo chiedere l’aiuto del nostro compagno o della nostra compagna.

Ma torniamo al bimbo che dorme beato in braccio alla mamma o al papà e che, appena lasciato nella culla, inizia a strillare: è una reazione più che normale se pensiamo che, per nove lunghi mesi, il piccolo è stato cullato, protetto e contenuto nell’utero materno; già dall’ottava settimana di gestazione, il feto nota quando la mamma lo accarezza attraverso il pancione!

Il tatto anche fuori dall’utero quindi rimane un senso importantissimo, fondamentale per la sopravvivenza, tanto che essere portato in braccio e stare a contatto con la mamma e il papà, per un bimbo è necessario quanto l’essere nutrito.

Ma non solo: i bambini costruiscono la fiducia che hanno in loro stessi basandosi sulla comunicazione dei loro bisogni, e sull’adeguatezza delle risposte ricevute.

Per questo l’assioma che considera il prendere il braccio il bambino equivalente a viziarlo è sbagliato: non solo non esistono prove scientifiche in grado di dimostrare che il bisogno di contatto fisiologico dei piccoli se soddisfatto abbia conseguenze negative sul loro carattere (anzi, è stato dimostrato il contrario), ma i bambini devono vedere rispettati i loro bisogni per crescere ed essere indipendenti.

Riconoscere e rispondere ai bisogni dei piccoli non significa viziarli, ma significa dargli gli strumenti necessari per poter essere autonomi quando arriverà il momento che, come sempre, è diveso da bambino a bambino.

Anche il bisogno di contatto è diverso a seconda del piccolo: alcuni dimostrano una necessità costante di contatto mentre altri decisamente meno; come sempre, dobbiamo agire in base al loro carattere e a ciò che i piccoli ci chiedono.

Non solo ci sono bimbi che amano meno di alcuni altri essere presi in braccio, ma un bimbo che – normalmente – ama il contatto può non richiederlo se, per esempio, è impegnato a giocare.

Se cercassimo di prenderlo in braccio in quella situazione il piccolo si rifiuterebbe e mostrerebbe energicamente il suo dissenso: con questo esempio vogliamo chiarire che non sempre prendere in braccio è positivo, ma lo è senz’altro quando il bambino ne dimostra la necessità.

Se un bambino che ha sempre amato farsi trasportare comincia a diventare più indipendente e desidera camminare autonomamente e non richiede più le braccia della mamma o del papà, non dobbiamo obbligarlo a farsi portare perché noi lo riteniamo giusto: come sempre, la chiave è ascoltare i bisogni del bambino e adattarci alla loro crescita.

Ovviamente, non sempre è possibile prendere i piccoli in braccio per lungo tempo: se abbiamo mal di schiena (o qualsiasi altro problema che ci rende difficile il tenerli in braccio) non dobbiamo forzare la situazione e rischiare di farci male.

Fortunatamente vengono in nostro aiuto le fasce porta bebè, che ci permettono di tenere il piccolo addosso distribuendo il suo peso in modo omogeneo (quindi senza sforzare la schiena in modo dannoso) e permettendoci di avere le mani libere.

Ci sono tantissimi genitori che vorrebbero tenere in braccio di più i loro figli ma che, nel farlo, si sentono giudicati: sono stati tanti i passi avanti fatti in questi ultimi decenni nel campo della puericultura e delle cure prossimali, speriamo quindi che presto le convizioni legate a principi totalmente infondati possano farsi da parte per lasciare spazio all’amore e all’istinto di mamma e papà.

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